Andrew G. Thomas

AllHellows

Ci sono esordi che non sembrano affatto esordi. Libri che entrano nella stanza in silenzio, ma che dopo poche pagine ti accorgi che si sono già seduti accanto a te, come una presenza che non hai sentito arrivare e che pure ti conosce. AllHellows, romanzo di Andrew G. Thomson, appartiene a questa categoria di apparizioni narrative: nasce giovane, ma porta con sé un odore di foglie bagnate, di periferie perdute e di domande
antiche.

Ambientato nell’Oregon del 1993, il romanzo apre la porta su una cittadina che sembra uscita da un album di ricordi collettivi: strade immerse nella bruma, biciclette che fendono un autunno troppo silenzioso, la promessa innocente di un’avventura che presto mostra i suoi denti. A Hilltown si prepara la notte dell’Allhallows, ma il sentimento che attraversa queste pagine ha poco a che vedere con la festa: qui il rito è una fenditura, una soglia sottile in cui la normalità vacilla, lasciando intravedere qualcosa che si muove ai margini della coscienza.

Il cuore pulsante della storia sono i bambini: George, Michael, Eddie, Leo. I loro passi inseguono il mistero, ma soprattutto inseguono se stessi. Thomson costruisce un racconto di formazione mascherato da thriller, un percorso in cui l’infanzia si incrina e l’ombra entra in scena con la naturalezza con cui, a quell’età, si accetta che il mondo sia più grande e più spaventoso di quanto si era immaginato. Accanto a loro, le figure adulte – Paul, il padre divorziato che prova a ricucire un legame, e l’agente speciale Angela Green, determinata a interrogare un assassino recluso – tracciano linee parallele che parlano di responsabilità, colpa e destino. Non è un caso che molti lettori abbiano intravisto nel romanzo un’eco di Stephen King. Thomson non lo nasconde, anzi: lo attraversa con rispetto, senza imitarlo. Non c’è qui l’ossessione per il puro terrore, ma il desiderio di capire il male, di afferrarlo mentre prende forma, di chiedersi se esso sia un’impronta già incisa nel nostro passo o una scelta che ci sorprende un attimo prima di compiersi. È questa tensione morale, quasi filosofica, a rendere AllHellows più profondo di quanto ci si aspetterebbe da un autore di ventitré anni.

La scrittura è scorrevole ma non superficiale; osserva, respira, suggerisce. E a tratti accarezza quelle atmosfere di provincia che l’autore conosce da vicino, pur mascherate da un’America lontana. La sensazione è che Hilltown sia anche un po’ la sua città dell’infanzia, trasfigurata, imbastita di silenzi, di segreti e di quella strana malinconia che abita i luoghi in cui siamo cresciuti.

La copertina, misteriosa e magnetica, è l’ingresso perfetto: non spiega, ma invita. Come se dicesse al lettore: entra, se te la senti. E se entri, scopri che l’autore non cerca il colpo di scena fine a sé stesso; cerca una verità emotiva. Cerca, forse, la radice.

AllHellows è un romanzo che appartiene a quella zona di confine in cui le storie dell’orrore diventano specchi. Ti costringe a guardare dentro l’ombra, ma anche dentro la tua memoria. È un libro che arriva con timidezza, ma resta con forza. Un’opera prima che annuncia, più che un talento, una voce. E nelle pagine finali, mentre la notte dell’Allhallows compie il suo giro, si comprende che la vera domanda non riguarda il
male, ma ciò che scegliamo di fare quando lo incontriamo. Un libro da leggere con la luce accesa, ma soprattutto con il cuore attento.

Buona lettura!