La storia della censura

dal rogo dei libri al book ban

di Mariana Winch Marenghi

Le parole che fanno paura

Quando seguivo il corso di Storia medioevale all’Università Statale di Milano mi imbattei, spesso e volentieri, in un termine che, credevo, avrei sempre associato ad un’epoca passata, ad altri tempi. La parola in questione era “censura” e per me è sempre stato sinonimo di “tempi oscuri”, “governi tirannici”, “società in guerra”. Mai e poi mai avrei pensato di doverla usare oggi, di vedere autori con cui sono cresciuta messi al bando in biblioteche e scuole pubbliche, di sapere che in molti paesi quella della censura sta diventando una nuova “moda”. 
Ogni volta che un’idea è stata troppo audace, qualcuno ha cercato di metterla a tacere. La storia della censura è, così, la storia della paura: paura del cambiamento, del dissenso, della libertà. Ma è anche la storia della resistenza delle parole, che sopravvivono ai roghi, ai divieti, ai silenzi imposti.
Fin dall’antichità, il controllo del pensiero è stato uno strumento di potere. Dove c’è conoscenza, c’è anche la tentazione di limitarla. E così, lungo i secoli, la censura ha assunto forme diverse — religiose, politiche, morali — ma con un obiettivo costante: impedire che le persone pensino con la propria testa.
Oggi proviamo a tracciare, andando a ritroso nel tempo questa storia di paura e resistenza. 

“Non è solo una questione di libri banditi È la creazione di un clima di paura, in cui la gente si chiede se è ancora sicuro parlare di certi argomenti”.

Dall'antica Grecia al Medioevo

L’idea di censurare nasce molto presto. Storicamente parlando, ne troviamo già traccia in epoca classica, sviluppandosi in modo “connaturato” ad alcune filosofie che esprimevano, più di altre, il consenso al potere costituito. Ne è un caso che il primo a parlarne sia stato Platone, nella Repubblica, immaginava una città ideale in cui i poeti e i narratori fossero controllati, perché i miti e le storie potevano “corrompere l’anima dei cittadini”. Lui, che amava la parola, temeva il suo potere.
A Roma, invece, la censura divenne strumento politico. Gli imperatori facevano distruggere opere che criticavano il potere o proponevano visioni del mondo troppo indipendenti. Ovidio, autore delle Metamorfosi, fu esiliato da Augusto, ufficialmente per “carmen et error”, “un errore e un poema”, forse perché la sua arte era troppo libera per l’ordine morale imposto dal princeps.

L'index librorum proibitorum

Nel Medioevo, con l’affermarsi del cristianesimo, la censura divenne istituzione. La Chiesa, depositaria del sapere e della verità, decise cosa fosse lecito pensare e leggere. Nel 1559 nacque l’Index librorum prohibitorum, ovvero Indice dei Libri Proibiti, che per quattro secoli stabilì quali testi fossero vietati ai fedeli. Fu istituito ufficialmente dalla Chiesa cattolica nel 1559 per ordine di Papa Paolo IV, e rimase in vigore fino al 1966, quando venne abolito da Papa Paolo VI. Conteneva centinaia (poi migliaia) di titoli vietati perché ritenuti eretici, blasfemi, immorali o pericolosi per la fede. Da Copernico a Galileo, da Machiavelli a Giordano Bruno, moltissimi autori finirono “all’indice”. Anche la Critica della Ragion Pura di Kant finì in quel novero. 
Ma spesso, proprio i loro libri proibiti erano quelli che cambiavano la storia.

Quando la parola diventa rivoluzione

Con l’invenzione della stampa, le idee smisero di essere privilegio di pochi. I libri cominciarono a circolare più velocemente delle leggi che cercavano di fermarli. La censura, per la prima volta, perse il controllo.
Nel Rinascimento, autori come Galileo Galilei e Niccolò Machiavelli pagarono il prezzo della loro libertà di pensiero. Il Principe di Machiavelli, ritenuto cinico e amorale, fu bandito per secoli; eppure divenne uno dei testi politici più influenti della storia. Galileo fu costretto all’abiura per aver sostenuto che la Terra girava intorno al Sole, ma la sua Lettera a Cristina di Lorena e il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo continuarono a circolare in segreto.
Con l’Illuminismo, la parola scritta divenne un’arma contro l’ignoranza. L’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert fu censurata più volte in Francia, accusata di minare la fede e l’autorità monarchica. Ma era ormai troppo tardi: la cultura non poteva più essere rinchiusa.

Ottocento e Novecento: tra moralismi e totalitarismi

    Nel XIX secolo, la censura cambiò volto: non più solo religiosa, ma morale. Le nuove libertà borghesi portavano con sé nuovi tabù. Madame Bovary di Gustave Flaubert fu processato per oscenità; I fiori del male di Charles Baudelaire subì tagli e sequestri; L’amante di Lady Chatterley di D. H. Lawrence fu vietato per decenni in diversi paesi. Ciò che oggi consideriamo arte e letteratura, ieri era scandalo.
    Nel Novecento, la censura si fece politica e ideologica. I regimi totalitari compresero che controllare i libri significava controllare le menti. Nel 1933, in Germania, gli studenti nazisti bruciarono i testi di Kafka, Freud, Einstein, Heinrich Heine. In Unione Sovietica, decine di autori furono silenziati o costretti all’esilio. Anche in Occidente, la paura del comunismo o della “decadenza morale” portò a nuovi divieti e censure. 
    Libri come 1984 di George Orwell e Fahrenheit 451 di Ray Bradbury — paradossalmente, opere che denunciavano la censura — furono a loro volta criticati o vietati in varie scuole e paesi.

    Oggi e il controllo dell'invisibile

    Chi pensa che la censura appartenga al passato si sbaglia. Oggi non si bruciano più libri nelle piazze, ma spesso li si rimuove silenziosamente dagli scaffali.
    Negli Stati Uniti, il fenomeno dei book ban — i divieti scolastici di lettura — ha raggiunto livelli record. I libri più colpiti? Quelli che raccontano storie di persone nere, migranti, LGBTQ+, o che affrontano temi di identità di genere e sessualità.
    Opere come Beloved di *Toni Morrison, Gender Queer di *Maia Kobabe e The Bluest Eye sono state rimosse da centinaia di scuole. In stati come Florida, Texas e Tennessee, nuove leggi consentono a genitori e gruppi politici di chiedere il divieto di libri “inappropriati”. Dietro la retorica della “protezione dei bambini” si nasconde spesso la paura della diversità.
    Paradossalmente, la censura non si ferma ai confini del mondo fisico. Nel web, algoritmi, moderazioni e filtri automatici decidono ogni giorno cosa possiamo vedere, leggere, condividere. È una censura invisibile, più sottile ma altrettanto efficace.

    Il Book Ban americano

    In un paese che ha fatto del Primo Emendamento la bandiera della libertà, la parola “censura” suona quasi come un paradosso. Eppure, negli ultimi anni, proprio negli Stati Uniti d’America — patria della libertà di stampa e di espressione — si sta assistendo a un fenomeno in forte crescita: il ritorno dei libri proibiti, banditi dalle scuole e dalle biblioteche pubbliche. Non si parla di casi isolati: secondo l’organizzazione PEN America, che monitora la libertà di parola nel mondo, solo nell’anno scolastico 2023-2024 si sono registrati oltre 10.000 casi di censura in 45 stati americani. È il numero più alto mai documentato nella storia recente.
    Ma la cosa peggiore è che è una censura a base popolare. Significa che la censura non arriva più dall’alto, come ai tempi dell’Inquisizione o delle dittature del Novecento. Non ci sono roghi nelle piazze, né liste ufficiali di testi proibiti. La nuova censura americana si muove dal basso, alimentata da gruppi di pressione, genitori, associazioni e politici locali che chiedono la rimozione di libri ritenuti “inappropriati” o “offensivi”. Animati da spirito conservatore e ultranazionalista, nutriti da indottrinamenti cattolici e “bianchi”, il pericolo oggi viene da quello stesso popolo che un tempo agognava il sapere come simbolo di libertà. Di tutto questo ci resta una sola e incontrovertibile sicurezza: hanno ucciso la coscienza sociale di un popolo e lo hanno fatto nel nome della paura.
    Spesso, infatti, la scintilla nasce da una denuncia individuale: un genitore trova in biblioteca un romanzo che affronta temi di identità di genere, sessualità, razzismo o violenza, e ne chiede il ritiro. In molti casi, le scuole e i consigli scolastici cedono alle pressioni per evitare polemiche, finendo così per censurare intere sezioni delle loro biblioteche.
    Il risultato? Un numero crescente di studenti privati dell’accesso a storie che parlano della complessità del mondo reale — proprio quelle che la letteratura dovrebbe insegnare a comprendere.

    I temi più colpiti: identità, razza, sessualità

    Secondo i dati raccolti da PEN America e dal Freedom to Read Project, la maggior parte dei libri censurati negli Stati Uniti affronta questioni di razza, genere e orientamento sessuale. Le storie con protagonisti neri, latini o LGBTQ+ sono tra le più bersagliate.
    Romanzi come The Bluest Eye di Toni Morrison, Gender Queer di Maia Kobabe o All Boys Aren’t Blue di George M. Johnson sono stati rimossi da centinaia di scuole in tutto il paese. In Florida, lo stato simbolo di questa nuova ondata di censura, si stima che oltre 2.300 titoli siano stati vietati o sospesi nel solo anno 2024.
    E non si tratta solo di narrativa contemporanea: perfino classici come Il giovane Holden di J.D. Salinger o To Kill a Mockingbird (Il buio oltre la siepe) di Harper Lee sono stati contestati per “linguaggio offensivo” o “contenuti sensibili”.
    Sembra incredibile, ma tra gli autori più censurati d’America figurano Stephen King, Jodi Picoult, Toni Morrison e persino Maya Angelou — premi Nobel e icone della letteratura mondiale. Le loro opere vengono rimosse con la stessa leggerezza con cui si eliminerebbe un libro di testo scolastico.
    In alcuni casi, le motivazioni rasentano l’assurdo. Il libro per bambini Freckleface Strawberry dell’attrice Julianne Moore è stato bandito dalle scuole gestite dal Dipartimento della Difesa (DoDEA) perché “tratta di differenze fisiche”. Un segnale di quanto la sensibilità sia diventata fragile, e la censura capillare.

    La resistenza dei Lettori

    Fortunatamente, la censura non resta senza risposta. In tutto il paese, insegnanti, studenti e associazioni si mobilitano per difendere la libertà di lettura. Sono nate iniziative come #LetFreedomRead e Banned Books Week, che promuovono la lettura dei testi vietati e la riflessione sul valore del pluralismo culturale.
    Le librerie indipendenti organizzano maratone di lettura pubblica dei libri banditi; molte biblioteche hanno creato sezioni dedicate ai “banned books”, per trasformare la censura in occasione di dialogo.

    I libri più censurati della storia

    Molti dei capolavori che oggi leggiamo liberamente sono passati attraverso il fuoco della censura. Ecco alcuni esempi emblematici:

    “I Versi Satanici” – Salman Rushdie
    Vietato in molti paesi islamici per blasfemia; l’autore fu vittima di una fatwa.

    “1984” – George Orwell
    Censurato in URSS e criticato in America per la sua visione del potere.

    “Il giovane Holden” – J.D. Salinger
    Rimosso da molte scuole americane per linguaggio e contenuti ribelli.

    “Lolita” – Vladimir Nabokov Accusato di pornografia, rifiutato da vari editori.
    “Ulysses” – James Joyce
    Vietato negli Stati Uniti fino al 1933 per oscenità.

    “Fahrenheit 451” – Ray Bradbury
    Un libro sulla censura, ironicamente censurato per il suo linguaggio politico.

    La libertà delle parole

    Ogni epoca ha avuto i suoi censori e i suoi ribelli. Ma la storia ci insegna che le idee non si possono bruciare. Possono essere bandite, manipolate, dimenticate per un tempo, ma prima o poi riaffiorano — più forti, più urgenti, più necessarie.
    Oggi, mentre discutiamo di intelligenza artificiale, fake news e controllo dei contenuti, la questione rimane la stessa: chi decide cosa possiamo sapere?
    Difendere la libertà di parola significa difendere la possibilità stessa di pensare, di dissentire, di immaginare un mondo diverso. E in un certo senso, leggere un libro proibito è ancora oggi un atto di libertà.

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