Janek Gorczyca

Storia di mia vita

di Annelies Romanin

“Questo sarà un breve racconto di mia esperienza sulla vita di strada. Tutto comincia nel 1998 di ottobre, io sto in una stanza a Campo dei fiori, contratto di lavoro scaduto, permesso di soggiorno uguale, ho un milione e mezzo di lire in tasca, e penso come riprendere tutto, ma non è facile.”

La sentite la voce mentre leggete? Io la avverto come bassa e roca, il timbro di un uomo la cui vita è stato un viaggio avventuroso, ma tormentato. E ora chiudete gli occhi per qualche istante. Immaginate che tutto ciò che indossate in questo momento costituisca la vostra sopravvivenza. I soldi che avete in tasca, gli abiti che indossate, i ricordi indelebili della vita. Dovete arrivare fino a sera con questi oggetti, stando bene attenti che nessuno ve li rubi, ricordatevi, però, di procurarvi un cartone per avere un giaciglio dove riposare in un angolo della città. Un senzatetto abita il mondo così. Ha solo sé stesso.

Questa è “Storia di mia vita” di Janek Gorczyca, un senza dimora che vive a Roma da circa trent’anni. Non uno sbandato, vittima del destino, ma un uomo consapevole delle proprie scelte. Nel corso del brevissimo romanzo, sono appena centoquarantaquattro pagine, il protagonista si fa conoscere per il suo carisma e la sua intraprendenza nell’affrontare la realtà della strada. 

“Sono nato in un paesino vicino Stalowa Wola creato da Jòzef Pitsudski come centro industria. Il polo industriale creato da Pitsudski comprendeva Stalowa Wola, Ostrowiec Swietokrzyski e Starachowice.
Miei genitori hanno sopravvissuto la guerra, mio padre addirittura era prigioniero. Per mia nascita costruisce nuova casa. Ho due sorelle ma distanza di età è notevole. Tutti sono impegnati sia a scuola che lavoro.  Io da bambino ho altra passione, libri e sport, che non piace ai miei genitori perché loro vogliono tutti che divento agricoltore ma io ero ribelle da nascita e non mi sono mai arreso.
Dopo mi scontro con tutti divieti, cioè comunismo russo che dominava. Non mi sono arreso in quei tempi in Polonia. Era una guerra.”

Un giorno, un quaderno scritto a penna viene consegnato a Christian Raimo, scrittore e traduttore italiano, caro amico di Janek. L’autore, dopo averlo letto, si convince che è una piccola opera d’arte e lo sottopone all’attenzione di Sellerio. La casa editrice rimane affascinata da questo breve testo, la toccante storia di un uomo di origini polacche. Un uomo pieno di risorse che con mille espedienti riesce a sopravvivere navigando a vista. Scritto da lui in un italiano stentato e con inflessione straniera. Non è un diario né un memoir. È semplicemente “Storia di mia vita”.

“Per qualche tempo tutto fila liscio, Comunità porta panini ogni martedì sera, ma a parte questo non sono in grado di dare una mano per lavoro o qualsiasi tipo di aiuto più efficace. Infatti mi sto domandando tutto sto tempo che questi stavano sotto pioggia al freddo sotto un pezzo di tetto e dormivano sopra cartoni, non potevate trovare un’altra soluzione? Per me due panini a settimana e domande cretine tipo “come stai” sono una umiliazione.”

 La scrittura è un personaggio della storia e lo caratterizza, mentre scorrono le parole e le vicende prendono vita nella mia testa, avverto la voce del protagonista che narra le sue vicende. Ed è una scrittura scarna, profonda, in grado arrivare all’osso della narrazione, tanto che l’editore Mattia Carratello, ha scelto di lasciare intatta l’unicità di questa lingua. Ha chiesto soprattutto di aggiungere dei passaggi e ha lavorato sull’ortografia per rendere la storia solo più leggibile.  Si può definire Janek Gorczyca un clochard? È una domanda difficile a cui rispondere, tuttavia quello che emerge leggendolo è la sua forza, la sua capacità di dominare l’esistenza, non di viverla passivamente.  Ha mente chiara, temperamento volitivo, mani abili, un carattere deciso. Lavora come fabbro presso un amico e si guadagna i pochi soldi che gli permettono di sopravvivere. Tutte le sere torna nello stesso palazzo abbandonato, le cui stanze sono suddivise fra altri senzatetto come lui. Una piccola comunità di cui, grazie alla personalità brillante è il leader. 
“Io gli dico come posso essere riconoscente, vivo per strada e mi guadagno da vivere con queste mani sporche del lavoro che faccio, lui mi stringe la mano e dice buona fortuna hai fatto pure troppo, lo capisco solo dopo.”

Costruisce con energia e potenza la sua marginalità, non se ne lascia sopraffare. Almeno non sempre, perché la vita per strada è dura. Implica una lucidità, che non sempre è facile mantenere.  Quando il carico di dolore è troppo grande e la sconfitta gli morde l’anima, la fiducia nella vita lo abbandona e crolla. Ha infatti grossi problemi di alcolismo.
“Ovviamente la vita per strada comporta anche un’altra cosa. Per non pensare troppo si beve dalla mattina fino a tardi.”
Vive anche in modo travagliato una relazione con Marta, l’amore della sua vita, a cui ha dedicato il libro. 

“Qui dico chiaro, non sono un eroe, ma la vita per strada è piena di sorprese. Alla fine, arriva il giorno del giudizio”
Janek racconta le sue vicende di uomo fuori da ogni schema e ci apre a un mondo che molte volte sfioriamo, vivendolo solo in parte. A volte con sguardo romantico, quello della vita avventurosa, a volte con quello inorridito, la paura di non possedere nulla al di fuori di noi stessi: Janek cammina su un filo sottile, pronto a spezzarsi a ogni imprevisto con incredibile equilibrio: racconta e si racconta camminando nelle vicende con narrativa precisa, attenta, minuziosa. 

Storia di mia vita, è un libro potente, al quale è impossibile non volere bene.
“Tanti cercano di scappare da sé stessi. Impossibile, o accetti o hai perso.”

Buona lettura!