Ferdinando Salamino

Identità negate


Ci sono romanzi che vanno ben oltre la trama, oltre la tensione narrativa e perfino oltre il mistero da risolvere. Identità negate di Ferdinando Salamino è uno di quei romanzi che, pur muovendosi nei luoghi del thriller, si rivela qualcosa di diverso e più profondo: una riflessione cruda e lucida sulla perdita, sull’incapacità di amare, e su come il dolore possa, talvolta, essere l’unica voce possibile per dire ciò che non si è mai avuto il coraggio di sentire.

Tutto ha inizio con un cadavere. Nadia è morta. Giovane, bella, brillante e disinibita. Apparentemente una ragazza a cui non manca nulla (e questa è una colpa?) appartenete ad una società che vive ancora delle sue apparenze, delle sue bugie ben pettinate è meglio celate. Il corpo viene ritrovato nella villa della famiglia De Meo, immersa in un bosco, un luogo dal fascino decadente che sembra portare addosso il peso della tragedia già prima che essa accada. Eppure, la vera frattura emotiva non è tanto il delitto in sé, quanto il modo in cui il padre di Nadia, Ivan Castelli, reagisce alla notizia.

Ivan è un criminologo di fama, uno di quelli abituati a studiare il Male con la freddezza dell’analisi scientifica. Ma davanti al corpo di sua figlia, non esplode il dolore che ci si aspetterebbe da un padre. Anzi, quasi implode in un buio strano.  Perché quel legame, semplicemente, non è mai esistito fino in fondo. La loro relazione era una semplice distanza, caratterizzata da incomprensioni e mancanze reciproche. Eppure, è proprio nel momento della perdita che Ivan lentamente scopre un’assenza nuova: l’assenza di sé come padre, l’assenza di un amore che avrebbe potuto(dovuto?) esserci, ma che non ha avuto spazio per germogliare. Così, la vendetta diventa il suo modo di fare i conti con questo vuoto. Punire chi ha ucciso Nadia diventa l’unico modo possibile per dichiarare a se stesso di averla amata, almeno nel momento estremo.

L’indagine si intreccia con la psicologia dei personaggi, che Salamino costruisce con grande attenzione. Edoardo De Meo, figlio dell’uomo politico e fidanzato della vittima, si dichiara colpevole fin da subito. È coperto di graffi, in stato confusionale, incapace di spiegarsi. Ma la sua colpa è reale o solo l’effetto collaterale di un trauma che nessuno ha mai voluto vedere? Intorno a lui si muove una rete di adulti che, più che proteggere i figli, li usano come specchi o trofei. Antonio De Meo, il padre, è un politico impeccabile in pubblico e al limite del torbido nella vita privata. E poi c’è la procuratrice Tagliaferri, donna forte, lucida, che con rigore cerca di riportare ordine in un contesto dove l’ipocrisia regna sovrana.

L’ambientazione gioca un ruolo fondamentale. La villa rinascimentale dove tutto ha inizio non è soltanto uno spazio fisico: è una presenza quasi metafisica, che contiene in sé il peso della memoria familiare, della finzione sociale, e del privilegio malato. Il bosco che la circonda, invece, è lo sfondo perfetto per la fuga e lo smarrimento, il luogo dove l’evidenza e la verità si perdono, come succede a Edoardo. Salamino riesce a rendere questi spazi vibranti, capaci di parlare, suggerire, inquietare.

Il titolo stesso – Identità negate – suggerisce che il cuore del romanzo non è l’assassinio, ma ciò che viene sistematicamente rifiutato, represso, non riconosciuto. Le identità negate non sono solo quelle anagrafiche, ma soprattutto quelle interiori. Nadia non è mai stata davvero vista ma piuttosto spiata, giudicata, né dai genitori né dagli amici; Ivan ha negato a se stesso il ruolo di padre; Edoardo forse nega perfino la propria innocenza. Il romanzo è attraversato da un filo rosso fatto di silenzi e frasi non dette, di gesti mancati, emozioni represse e maschere indossate troppo a lungo.

Dal punto di vista stilistico, Salamino scrive con asciuttezza e precisione, ma non rinuncia a passaggi più intensi e carichi di tensione emotiva. Il ritmo è ben dosato: serrato nei momenti giusti, più contemplativo quando si sofferma sulle pieghe dell’animo. La narrazione si muove con cambi di prospettiva e salti temporali, ma lo fa in modo ordinato, permettendo al lettore di restare sempre dentro la storia, pur esplorandola da più angolazioni.

Identità negate è molto più di un thriller. È una storia che ci obbliga a guardare in faccia le nostre omissioni, le parole che non diciamo, i sentimenti che lasciamo in sospeso fino a quando non è troppo tardi. È il racconto di un dolore che nasce non solo dalla morte, ma dalla consapevolezza che ci si può sentire orfani anche da vivi, e che l’amore non detto può ferire quanto un addio.

Un libro che inquieta, che tocca corde profonde, e che lascia nel lettore una domanda scomoda: quanto ci costa riconoscere davvero chi siamo?

Buona lettura!