Fabio Salvi è un giornalista “vecchia scuola”, disposto a mettersi in serio pericolo pur di seguire la strada che il destino – e, soprattutto, i suoi ideali di giustizia e lealtà – gli indicano. Anche nel secondo capitolo della trilogia firmata da Roberto Pegorini, La doppia tela del ragno, il nostro protagonista torna in scena per ricucire gli strappi della propria vita, cercare un equilibrio con Marika e affrontare un serial killer che sta seminando il terrore a Milano.
In una spirale di situazioni avvincenti che non lasciano respiro, Pegorini costruisce un noir contaminato dal thriller psicologico, sostenuto da una trama investigativa solida e coinvolgente. Il ritmo incalza, l’interesse non cala mai: merito di uno stile narrativo che rivela l’esperienza da cronista dell’autore e la sua piena maturità letteraria, che lo colloca tra le voci più interessanti del noir contemporaneo italiano.
Fabio, Marika, Laura, Stefano, il professor Gianguido, il giornalista Lamberti: sono personaggi tridimensionali, vivi, costruiti con profondità psicologica e coerenza narrativa. Le loro paure, i loro dubbi, le fragilità e le ansie passano con naturalezza al lettore, generando emozioni forti, autentiche e coinvolgenti.
Anche questa volta, seguendo il solco tracciato dal primo romanzo, Cuore apolide, i temi affrontati sono profondi e ben sviluppati. In La doppia tela del ragno, Pegorini esplora tematiche tipiche del noir psicologico: il senso di colpa, la giustizia, le verità nascoste e quelle taciute, l’inganno, la solitudine – sia individuale che collettiva – e la fragilità umana, tanto fisica quanto mentale. Il tutto è trattato con sensibilità e misura, con uno sguardo umano e mai moralistico.
Come un velo che si solleva lentamente, la narrazione porta alla luce debolezze, contraddizioni e ombre. Il giornalismo stesso viene raccontato come uno specchio deformante e alle volte deformato: riflette la realtà, sì, ma in modo parziale, distorto, talvolta crudele. Il cuore del romanzo, tuttavia, è la dimensione psicologica del crimine e l’impatto che ha sulla società.
Lo stile di Pegorini è diretto, asciutto, spesso intimo: un pugno allo stomaco quando serve, ma sempre al utile alla storia. Il linguaggio è essenziale, brillante, privo di orpelli, e i dialoghi – brevi, serrati – conferiscono dinamismo e credibilità all’intera narrazione. La scrittura si muove come uno slalom tra luce e ombra, lasciando che siano le scene e i personaggi a parlare.
Le descrizioni sono potenti, quasi cinematografiche. Ogni capitolo è costruito come una sequenza cinematografica: si passa con efficacia da ambienti domestici a scorci urbani, in un continuo alternarsi di intimità e inquietudine, in perfetto stile noir.
Milano, ancora una volta, è protagonista. Pegorini la veste di atmosfere affascinanti e cupe, come si conviene al genere, ma riesce anche a restituirle sfumature inaspettate: un bagliore di speranza, un soffio di magia nascosta tra le pieghe della metropoli lombarda e cosmopolita.
E ora non resta che aspettare Nel fondo più profondo, l’ultimo capitolo di questa meravigliosa trilogia intrisa di nostalgia, riflessioni interiori, suspense e brillanti investigazioni.
Buona lettura!